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Ischia fiabesca
Una passeggiata tra fiaba e leggenda, un'immersione nella cultura popolare ischitana. Guidati da Ugo Vuoso alla scoperta dei misteri del Comune d'Ischia.


Durata Tempo 3 ore A piedia piedi
Percorso Ischia fiabesca
Cunicoli sotterranei, tesori nascosti, spettri e fantasmi, processioni di morti e folletti. Negli angoli in ombra dei luoghi più antichi d’Ischia si nascondono i nuclei di storie possibili e sempre in bilico fra il tempo degli "antichi" e il nostro, sempre pronte a oltrepassare quei confini per farsi storie del presente: leggende metropolitane.
In questo scorso mese di luglio, una famiglia napoletana che aveva fittato un’appartamento sulla spiaggia della Mandra, dove sorgono gli antichi caseggiati dei pescatori, è scappata dopo un paio di settimane di soggiorno. Una donna della famiglia tentava di sollevare dal letto un bimbo di pochi mesi, ma invano. Una forza misteriosa tratteneva il piccolo, come a incollarlo al materasso. Contemporaneamente, le luci della casa hanno preso a farsi intermittenti e anche altri membri della famiglia napoletana hanno raccontato di aver chiaramente visto una figura che gesticolava, che intimava loro il silenzio. I villeggianti sono andati via sconvolti.
A intervalli irregolari riappare invece la ragazza dell’autostop.
Un giovane le da un passaggio fino a casa. Lei ringrazia e scappa via, lasciando il giubbetto sulla moto. Il giorno dopo il giovane bussa alla porta di quella casa con l’intento di restituire il giubbetto. La donna che apre l’uscio fa sapere al giovane che quella ragazza è morta da anni. Queste leggende «metropolitane» sembrano non avere spessore storico: sono raccontate come fatti di cronaca al punto che spesso, i giornali, le pubblicano come tali. Ma non è così.
Sebbene il loro linguaggio non lasci trasparire nulla esse sono dotate un tessuto arcaico, rinnovato per esprimere le paure e le angosce di sempre. Soprattutto sono raccontate per dare senso proprio a un luogo, a una casa, a un monumento del passato che, per il fatto di essere tale, conserva questo fascino e questa capacità di offrire racconti "non ufficiali", in parte storicamente veri, in parte no.
Come le leggende, le quali hanno la prerogativa di essere mimetiche, di farsi tutt’uno con i luoghi.
Anzi, spesso certi luoghi delle nostre mappe mentali e geografiche, sarebbero poco "visibili" senza le "loro" leggende.
Torre del Guevara1. Ischia Ponte e la Baia di Cartaromana costituiscono, da questo punto di vista, un paesaggio leggendario unitario. A cominciare dalla Torre di Guevara, che campeggia sulla costa prospiciente il Castello, dal quale è separata da uno specchio di mare sul cui fondo vi sono le antiche rovine di Aenaria, la città romana.
Nella Torre avrebbe soggiornato il grande Michelangelo. Invaghito della poetessa Vittoria Colonna, castellana d’Ischia, da quella postazione tentava di comunicare e di intravvedere l’amata. Per raggiungere il Castello, dalla Torre si immetteva in un tunnel sottomarino che all’epoca congiungeva la costa al maniero.
Castello Aragonese2. È lo stesso passaggio segreto che serviva per accedere nel ventre più profondo del Castello, dov’era conservato un tesoro, raffigurato nel suo forziere perfino da incisori tedeschi del Seicento. Un tesoro alla cui guardia era posto un grifone, un terribile serpente alato che era l’esatta controfigura di un’anima guardiana.
Di questi morti inquieti era popolato il Castello, soprattutto quando, nel secolo scorso, divenne un cumulo di rovine. Dal cimitero delle monache, i cui scheletri seduti sugli «scolatoi» erano ancora visibili fino a tutti gli anni Settanta, si materializzavano voci e corpi a tutelare l’eterno risposo di quelle pie donne.
Ma lungo i viali interni, all’improvviso si udivano passi di inseguitori, rumori di pietre battute l’una contro l’altra, lamenti. Da anfratti bui apparivano nani straccioni che man mano diventavano giganti eleganti, con tanto di tuba e bastone. Le loro risa, dicono i narratori, ghiacciavano le ossa. Il suono di zoccoli sul selciato annunciava l’arrivo di un cavallo nero e lo sguardo che il passante si sentiva addosso non poteva che essere quello di un cane o di una capra corvina, enorme e minacciosa, che compariva d’un tratto da un muro.
Tutti segni di un mondo diabolico che affiorava fra quelle rovine che un tempo erano state le strade e le case frequentate da san Giovan Giuseppe della Croce, il santo ischitano vissuto oltre tre secoli fa. La cappella dedicata al Santo, costruita nella galleria d’accesso, è un confine e una protezione. Da giovane, il Santo piantò un’albero interrandolo per la chioma, con le radici fuori. Quei rami improbabili fruttificarono carri di susine.
Era il segno che il mondo poteva andare in altre direzioni.
3. Il Santo, tuttavia, nacque in una delle case di Ischia Ponte. E anche questo fu un segnale: la città, da quel momento, sarebbe stato il "borgo" e non più il Castello. Eppure, verso la fine dell’Ottocento, per convincere la Chiesa locale ad aprire al culto quella casa, il Santo cominciò a comportarsi proprio come un "munaciello": batteva colpi, faceva sentire voci. Un sacerdote comprò la casa e la destinò al pubblico culto.
I "munacielli", una sorta di spiriti domestici, hanno abitato quasi tutte le vecchie case. Amavano corteggiare le donne, alle quali donavano dei tesoretti fin quando queste non svelavano il segreto. In quel caso venivano perseguitate dallo spirito. Si racconta che i «munacielli» siano apparsi anche dalle parti del convento di sant’Antonio.
Nella chiesa è conservata la statua della Madonna del Fuoco, che salvò parte del paese dall’eruzione del Trecento, che distrusse e coprì l’antico villaggio di Geronda. Su quella distesa lunare di sassi nacque nell’Ottocento la pineta dell’Arso.
Ma rimase sempre uno dei luoghi più contigui alle porte dell’inferno. Fra quegli arbusti e quelle rocce magmatiche si poteva incontrare ogni tipo di essere oltremondano.
Croci e tabernacoli e poi certe bolle papali hanno liberato tutti i luoghi da questi esseri spaventevoli.
Era ancora tempo di cambiare e gli spazi apparentemente improduttivi erano chiamati a svolgere altre e inedite funzioni.
La geografia magico-religiosa, che ricalcava come un velo sovrapposto
la realtà di antichi abitati, resti archeologici e rovine, non ha più valore di memoria, né è più "lingua" comune.
Ma ogni estate, in una vecchia casa del litorale, qualche villeggiante parte anzitempo.
Il "munaciello", come un rimorso che mai svanisce, torna a imporre il silenzio.
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