Per
una curiosa coincidenza della storia, l’inizio e la
fine della dinastia aragonese avvennero sull’isola
d’Ischia. Dall’Insula Major, come allora era
detta Ischia, Alfonso d’Aragona il Magnanimo mosse
i primi passi per la conquista del Regno di Napoli, stabilendo
nella fortezza del Castello la guarnigione militare catalana
che soppiantò quella fedele alla Regina Giovanna
II d’Angiò. Per rendere più stabile
il legame con l’isola, fece in modo che 300 soldati
spagnoli si sposassero con altrettante donne ischitane.
Una volta divenuto Re di Napoli, Alfonso ricompensò
i favori resigli dagli ischitani, trasformando completamente
il Castello in città-fortezza inespugnabile e concedendo
agli abitanti privilegi di natura prettamente fiscale.
Quanto fosse efficace il sistema difensivo realizzato
sul Castello, lo si vide al tempo della calata del re
francese Carlo VIII (1495), allorché la cittadella
ospitò re Ferrandino d’Argona e la sua impaurita
corte, resistendo agli attacchi di Ludovico il Moro.
Dallo stesso Castello, partì in volontario asilio
alla volta della Provenza (1502) l’ultimo re aragonese,
Don Federico, indignato per il tradimento del cugino re
di Spagna, Ferdinando il Cattolico, che si era messo d’accordo
con la Francia per spartirsi il regno di Napoli.
1.
Benché siano passati oltre cinque
secoli, la presenza del dominio aragonese è ancora
presente in maniera evidente in molte parti dell’isola.
A cominciare, naturalmente, dal Castello Aragonese –
massimo monumento dell’isola - sulla cui sommità
si erge imponente il Maschio o Palazzo Reale, ampliato
da Alfonso il Magnanimo sul modello di quello di Napoli,
per trascorrervi ore di intima felicità con l’amata
Lucrezia d’Alagno.
Sempre sul Castello, di notevole interesse risultano essere
le possenti mura di cinta e l’ingresso scavato nella
viva roccia, con feritoie in alto per il passaggio della
luce e dell’aria, ma che consentivano – in
tempo di guerra – il lancio di pietre e di olio
bollente sugli invasori. Al periodo aragonese si deve
anche un sofisticato apparato difensivo delle coste isolane,
mediante la edificazione di torri di avvistamento e di
ricovero, in caso di attacco, della popolazione impossibilitata
a rifugiarsi nel Castello. Attraverso il semplice ed efficace
uso dei falò, le torri erano in grado di comunicare
in tempo reale tra loro l’arrivo di navi nemiche,
avvistate in alto mare.
Su impulso dei re aragonesi, il Castello, andava man mano
trasformandosi da caserma militare a guardia del golfo
di Napoli, in cittadella fortificata dove risiedevano
stabilmente il governatore militare e i nobili e dove
avevano sede le principali istituzioni isolane: il palazzo
del parlamento, l'episcopio, la cattedrale con annessa
cripta medievale, ben 10 chiese (di cui 4 parrocchie)
e due conventi (delle clarisse e dei monaci basiliani).
Tanto fu l'interesse di Alfonso il Magnanimo e dei suoi
successori per il Castello che ancora oggi viene definito
come il Castello "aragonese" per eccellenza.
Nella cattedrale dell'Assunta fatta costruire nel 1300
da Carlo d'Angiò, sopravvissuta al bombardamento
inglese avvenuto nella seconda guerra mondiale vi è
una cripta con affreschi risalenti all'epoca di Giotto.
Di recente una piccola cripta, murata, è stata
scoperta all'interno di quest'ultima, una cripta nella
cripta non ancora accessibile, contenente l'affresco di
un Cristo deposto che ricorda molto il Cristo del Santo
Sepolcro in Gerusalemme.
Gli elementi architettonici sopravvissuti al bombardamento
furono redistribuiti, questi oggi si trovano all'interno
del borgo antico di Ischia Ponte:
- "Madonna del melograno" incastonata nel paliotto
dell'altare della Congrega di Santa maria di Costanitnopoli,
- Tre statue e quattro colonne tortili un Cristo in legno
di scuola fiorentina fanno parte del Battistero della
Cattadrale dell'Assunta ad Ischia Ponte.
Tra le dieci chiese, la chiesa dell'Immacolata fondata
dalla nobildonna Beatrice della Quadra, la quale fondò
anche il convento di Santa Maria della Consolazione. Un
convento per sole donne nobili (per non intaccare il patrimonio
familiare). Le monache defunte non venivano tumulate normalmente
ma sistemate su sedili di terracotta, tutt'ora presenti
all'interno della costruzione.
La chiesa di San Pietro a Pantaniello, dei monaci basiliani,
così chiamata poiché situata originariamente
sul Porto (sulla collina di San Pietro) che all'epoca
era un lago ("pantanellum"), fu trasferita sul
Castello in seguito ad un attacco di saraceni. È
in stile rinascimentale, e ricorda da lontano la sacrestia
nuova di San Lorenzo Maggiore a Firenze.
La chiesina medievale (rifatta nel '600) di Santa Maria
Ortodonico era la chiesa dei pescatori, sul castello,
dal piazzale si vedeva la punta estrema di Monte Vico.
Dalla piazzola della chiesa, guardando verso il basso
si nota chiaramente il sistema difensivo degli aragonesi,
con la presenza di fornaci in cui venivano infuocate palle
di pietra, durante le battaglie.
La chiesa di Santa Maria della Libera, della famiglia
Calosirto (la famiglia del santo patrono dell'isola, San
Giovangiuseppe della Croce) ha annesso un piccolo villaggio
medievale, ai cui scavi stanno attualmente lavorando.
Delle altre cinque chiese ci sono piccoli ruderi, muretti,
perimetri di fondamenta.
2.
Il percorso continua idealmente verso il Comune di Lacco
Ameno. Ancora funzionante alla fine del 1700 era la Torre
di Monte Vico a Lacco Ameno, nei pressi del sito dove
i greci fondarono la colonia di Pietekoussai, dotata di
merlatura di difesa, di cannoni e di una ronda permanente
di vigilanza. Vi si operavano segnalazioni col fumo, in
diretto contatto con il Castello Aragonese e con il Monte
della Guardia sull’Epomeo.
3.
E proprio sul Monte Epomeo, la vetta più alta dell’isola,
gli Aragonesi avevano ideato una struttura militare in
grado di valorizzare le grotte come base di appoggio delle
truppe; da quella posizione, non solo si aveva la possibilità
di spaziare lo sguardo d’intorno al golfo di Napoli,
ma anche di intervenire in tempi brevi in qualsiasi parte
dell’isola.
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